Il luogo di culto originario

Sulle origini del santuario le notizie sono scarse e incerte. In una relazione di metà ‘700 si afferma: la cappella di S. Abaco fu edificata nell’anno 1551, come dalle memorie si è potuto congetturare, già per due volte demolita e in diversi luoghi costrutta. Informazione problematica: non si sa su quali memorie si fondi la congettura sulla data di costruzione né quali fossero i diversi luoghi su cui fu costruita due volte la cappella. Il toponimo “Pian ëd Sant’Abaco”, noto nella memoria dei vecchi caselettesi e riferito a un piccolo ripiano posto un centinaio di  metri sopra il santuario lungo il sentiero che sale alla Croce, è difficilmente spiegabile in rapporto alla situazione odierna ma più comprensibile se si ipotizza un suo legame con un vecchio luogo di culto dedicato a S. Abaco. La presenza, superficialmente rilevabile, nei pressi del “Pian ëd Sant’Abaco” di frammenti sparsi di vecchie tegole e l’individuazione a una profondità tra 40 e 70 cm, in un punto in cui il terreno si presenta naturalmente “sezionato” da uno smottamento, di una stesura di pietre in parziale allineamento associata a numerosi frammenti di vecchi laterizi portano a vedervi i resti di una struttura edilizia su cui il terreno si è via via depositato per franamento. Dall’associazione di questi dati (documentario, toponomastico e archeologico) emerge l’ipotesi verosimile che l’originario luogo di culto dedicato a S. Abaco fosse una modesta cappella posta sul piccolo ripiano noto come “Pian ëd Sant’Abaco”, poi abbandonata in data imprecisabile e sostituita da un nuovo edificio eretto più in basso, sul sito dell’attuale santuario, la cui prima fase costruttiva è certamente precedente agli inizi del ‘700 (da quando è sicuramente documentato).

Tra Sei e Settecento: le prime notizie dirette

La prima citazione diretta del santuario è del 1622: in un atto comunale i confini di un appezzamento boschivo sul Musiné vengono indicati con riferimento alla cappella. Nel 1673 l’edificio è ricordato nella relazione della Visita Pastorale dell’arcivescovo di Torino Beggiamo e nel 1713 è pagato dal Comune il quadro (la tela sull’altare) opera del pittore Giuseppe Maso.

Eremiti e primi Priori

A inizio ‘700 (ma forse anche già prima) a S. Abaco vive un eremita, una specie di sacrestano, riconosciuto dall’autorità ecclesiastica, che provvede a pulire e custodire la cappella. Il primo conosciuto è Antonio Bertolotto (morto nel 1743); dopo di lui Tommaso Gollier (morto nel 1770) e Michele Rocco Carnino (morto nel 1826). Il santuario attira una grande venerazione: nel giorno della festa vi converge una folla di fedeli dai paesi vicini, e vi è già attestata la pratica degli ex-voto. La cura del santuario è affidata a un Rettore (più tardi Priore); il primo conosciuto è Carlo Fassio, a lungo rettore negli anni ’30 (incarico non ancora annuale). Sono attestate anche le Priore (2 ogni anno), incaricate soprattutto di raccogliere offerte; la prima conosciuta è Antonia Chiarbonello.

Don Forto e il controllo parrocchiale sul santuario

Nel 1736 la gestione del santuario passa sotto il controllo parrocchiale: il parroco don Gaspare Forto assume egli stesso il compito di Rettore, cominciando anche a tenerne una documentazione scritta. Due le ragioni di questa scelta: inserire meglio S. Abaco nella pastorale della parrocchia e rilanciare una devozione che nel paese si è intiepidita. Il parroco nomina un coadiutore, Giovanni Battista Putero, che diventa poi Rettore. Putero gestisce il santuario per 27 anni (1736-1763) con cura scrupolosa e sollecita: la disponibilità economica migliora, si fanno interventi di manutenzione e spese per l’arredo; la partecipazione dei caselettesi alla vita religiosa di S. Abaco vede una ripresa.

Interventi sull’edificio

Tra 1765 e 1770 si fanno interventi importanti sull’edificio: la cappella è ingrandita e viene costruito un campanile. La chiesa non ha ancora portico, sulla facciata si aprono due finestre, l’altare è più o meno come lo si vede oggi, dietro c’è un piccolo coro e dietro ancora o di fianco la stanzetta dell’eremita. Nel 1817-18 si realizza un intervento edilizio di notevole portata per iniziativa di Antonio Conti (priore per più di 20 anni dal 1811 al 1834): restauro e ampliamento della chiesa, resisi necessari in un periodo in cui è in aumento il numero di fedeli che sale al santuario nel giorno delle celebrazioni e la cappella troppo piccola non riesce a contenerli.

Il sistema di nomina dei Priori

A inizio ‘800 cambia il sistema di nomina dei priori. Nei suoi ultimi anni di priorato A. Conti è a volte affiancato da un sottopriore; poi nel 1835 comincia il sistema di avvicendamento (sottopriore-priore) che, con qualche modifica, vige ancora oggi. Due i motivi del cambiamento: 1) un priorato a lunga scadenza sta diventando un impegno troppo gravoso; 2) si cerca di coinvolgere più persone nella gestione di S. Abaco.

I grandi lavori di metà Ottocento

A metà ‘800 si registra la più intensa attività costruttiva di tutta la storia del santuario. Prende il via nel 1851 una serie di ampliamenti: si costruiscono un coro dietro l’altare (circa la metà di quello di adesso) e una sacrestia (dove ora c’è l’altare della Consolata), sono rifatti i soffitti e risanati alcuni muri; si inizia a costruire una vera e propria strada per salire al santuario. I lavori sull’edificio sono affidati al capomastro Felice Sanguinetti, mentre la costruzione della strada è opera di volontariato domenicale di giovani del paese, spronati dal conte Cays, che ha preso a cuore queste iniziative. E’ segno del crescere in quegli anni della devozione ai nostri martiri e di un fervore religioso assai sentito in paese. Tra 1854 e 1856 sono costruiti i “piloni” della Via Crucis, col contributo di singoli e gruppi sia caselettesi che forestieri: don Bosco, che visita Caselette in quegli anni, definisce questa Via Crucis monumento parlante della pietà e della religione dei caselettesi. Nuovi lavori nel 1855: si raddoppia l’area del coro (portato alle dimensioni attuali) e viene realizzato il passaggio per salire sopra e accedere a un pulpito.

I caselettesi e il santuario: un legame sempre più forte

Dietro questi lavori, però, non c’è un progetto organico; sono interventi decisi via via, in anni in cui la gente si mostra disponibile e si impegna con entusiasmo. I caselettesi hanno cominciato a sentire S. Abaco come un patrimonio di tutto il paese. E la partecipazione collettiva rafforza il legame con il santuario e con la venerazione di Abaco e soci. La presenza dei fedeli alle celebrazioni è in crescita, tanto che nel 1859 si decide di riaprire il cantiere. Grazie a un lascito si finanziano altri lavori: tra 1859 e 1860 vengono costruiti il portico e la soprastante orchestra (la facciata trova così la struttura attuale), viene realizzata la navata laterale destra, sopra l’altare è ricostruita la volta. Tra 1866 e 1870 viene risistemata la navata destra, si costruisce quella sinistra in simmetria con l’altra, viene realizzato il campanile, di fianco al coro è costruita l’attuale sacrestia e nell’area di quella vecchia viene eretto l’altare della Consolata. Il santuario raggiunge così le dimensioni e il volto architettonico che ha conservato fino ad oggi.

Il Novecento

Tra fine ‘800 e inizio ‘900 si infittiscono gli ex-voto: ricerca della protezione di S. Abaco in anni di guerra per la nazione e di povertà di vita per il paese. La guerra tocca anche il santuario: incendi provocati da bombardamenti risparmiano la cappella, ma nel 1944 don Colombero è catturato dai nazifascisti mentre vi celebra la messa. In anni più recenti molti lavori ordinari e straordinari consolidano l’edificio e lo abbelliscono (basilari gli interventi degli anni 1996-98: consolidamento delle fondazioni e dei muri portanti, rifacimento della copertura); l’impegno costante di priori e priore e la collaborazione di un volontariato competente e generoso rendono il santuario sempre più funzionale alla fruizione di fedeli e visitatori.

Celebrazioni religiose e feste popolari

Storicamente è difficile dire a quando risalga l’inizio delle tradizioni e degli eventi che caratterizzano i festeggiamenti al santuario, che oggi gravitano attorno alla data del 19 gennaio, giorno di Sant’Abaco. Iniziano il giorno dell’Epifania nella parrocchia San Giorgio, in cui durante la celebrazione liturgica il parroco benedice le “Carità”, pani che nei giorni successivi i Priori portano in ogni famiglia, invitando così tutti i caselettesi alle solenni celebrazioni e alla festa al santuario che si svolge il sabato precedente la data del 19 gennaio. Questa è la giornata dedicata alle tradizioni ed alla festa comunitaria, in cui le Priore ed i Priori, tra iniziative di carattere culturale e di svago, offrono a tutti i devoti saliti al santuario un piacevole ristoro con panini, vin brulé e cioccolata. Fino a qualche decennio fa un enorme falò veniva acceso presso il santuario all’imbrunire e il fragoroso incalzare dei fuochi d’artificio dava il via alla suggestiva e sempre molto partecipata fiaccolata che tradizionalmente dal santuario scendeva fino in paese. Da qualche anno purtroppo rigidi regolamenti a prevenzione degli incendi boschivi hanno ridimensionato queste attività; ma la fiaccolata, salvo casi eccezionali, si svolge regolarmente. La parte più importante dei festeggiamenti è costituita dalle solenni celebrazioni liturgiche che hanno luogo, oltre che il 19 gennaio, anche la domenica prima e quella successiva a tale data. Tutte le messe, molto partecipate e animate dalla corale parrocchiale, si concludono con la distribuzione da parte dei Priori del pane benedetto (“I Caritin”), che in genere viene consumato subito dai fedeli come atto devozionale verso i Santi Martiri. E’ tradizione che la messa del 19 gennaio venga concelebrata da tutti i parroci della zona, a testimonianza dell’attrazione devozionale del santuario verso tutte le altre comunità.

I santi Abaco e soci: il racconto leggendario

La tradizione più nota su vita e martirio dei santi Abaco e soci è un racconto leggendario, in cui è però possibile individuare un nucleo di storicità che ci pone di fronte alla figura reale di questi martiri. Il racconto fu reso popolare da un libretto del 1861, scritto da don Bosco ma preparato dal conte Carlo Cays. In anni di grandi lavori sul santuario e di devozione molto sentita verso i nostri santi, il conte Cays sollecitò l’amico don Bosco a scrivere qualcosa che ravvivasse ulteriormente la venerazione di sant’Abaco, mettendogli in mano la documentazione per il libro. Una parte dell’opuscolo riportava un racconto leggendario le cui linee principali si possono così riassumere: Mario, Marta, Audiface e Abaco sono presentati come una famiglia di origine persiana, ricca e nobile; ferventi cristiani, si recano a Roma per visitare la tomba di S. Pietro al tempo dell’imperatore Claudio II (circa 270 d.C.); confortano dei cristiani incarcerati e danno sepoltura a dei martiri, ma vengono arrestati e consegnati a un magistrato perché li costringa a rinnegare la fede cristiana; sottoposti a crudeli torture, che essi sopportano con eroico coraggio, sono infine uccisi lungo la via Cornelia 13 miglia fuori Roma: Mario e i due figli decapitati, Marta annegata in un pozzo. Don Bosco (o meglio, il conte Cays) si era basato su notizie contenute negli Acta Sanctorum, vastissima raccolta di scritti sulla vita dei santi, composta a partire da metà ‘600 da studiosi chiamati “bollandisti”. La parte dedicata ad Abaco e soci era un racconto (Atti dei santi Mario e soci) che risaliva agli inizi del Medioevo, in particolare al VI-VII secolo. Era una “passione”, un tipo di scritti che raccontavano a fini edificanti il martirio di uno o più santi, aggiungendo alle notizie che si avevano sui martiri anche delle cose inventate per impressionare e commuovere. Il suo anonimo autore aveva raccolto dei racconti tramandati da tempo, che conservavano memoria dei nostri santi: ricordi legati ad un luogo appena fuori Roma lungo la via Cornelia (a NW della città), dove era sorta una chiesa sul luogo del loro martirio. Il nucleo storico Analizzando criticamente il racconto leggendario si può separare in esso ciò che ha più probabilità di essere storico dalle aggiunte leggendarie.

  1. L’epoca. La “passione” parlava degli anni di Claudio II (268-270); ma sotto di lui non ci furono persecuzioni ufficiali contro i cristiani e così fino all’inizio della persecuzione di Diocleziano (303). Dunque: o i nostri martiri furono uccisi durante la persecuzione di Diocleziano (tra 303 e 311), oppure furono vittime di un isolato episodio di intolleranza, e in tal caso si può anche accettare il periodo di Claudio II.
  2. L’origine persiana è probabilmente leggendaria. Gli studiosi ritengono che i nostri santi fossero dei cristiani che abitavano nei pressi di Roma, forse dipendenti dalla “villa” imperiale di Lorium, una grande azienda agricola di proprietà degli imperatori romani che sorgeva proprio lungo la via Cornelia.
  3. Forse non erano neppure membri di una stessa famiglia: nelle “passioni” era abbastanza comune trasformare un gruppo di martiri di una stessa località in un nucleo famigliare.
  4. L’uccisione presso la villa di Lorium al XIII miglio della via Cornelia, cioè nel luogo della loro abituale residenza, è praticamente sicura.

Bibliografia

D. VOTA, Il santuario di S. Abaco e la comunità di Caselette tra Sette e Ottocento, in AA. VV., Mario, Marta, Audiface e Abaco martiri, Alpignano 1993, pp. 157-203.