I Romani e le Alpi tra disinteresse e timore

Le zone dell’arco alpino occidentale furono tra le ultime in Italia ad interessare i Romani. A differenza del resto dell’Italia del nord, ancora verso la metà del I secolo a.C. queste zone restavano separate dal mondo romano, perché fino a quel momento Roma non aveva avuto interesse a sottomettere le aree alpine, non dovendo collegarsi direttamente con territori romani situati appena al di là delle Alpi; e poi la mentalità dei Romani guardava con paura alle regioni alpine (aspre, difficili da attraversare, piene di pericoli) e con diffidenza alle popolazioni che le abitavano (ritenute selvagge nei modi di vivere e infide nei comportamenti).

L’intervento augusteo nelle Alpi Cozie

Ma dopo la conquista della Gallia (conclusa nel 52 da Giulio Cesare), il settore ovest delle Alpi cominciò ad interessare di più i Romani in quanto zona-cerniera tra Italia e Gallia. Già Cesare aveva cercato, ad esempio, di garantirsi la sicurezza dei transiti lungo la valle di Susa attraverso un probabile accordo con il capo locale Donno. Ma è soprattutto con Augusto (27 a.C. – 14 d.C.) che la zona alpina diventò un preciso obiettivo per Roma, nel quadro del progetto augusteo di conquista della Germania (che prevedeva l’attacco dalla Gallia): diventava importante per Roma assicurarsi un pieno controllo dei passi alpini e delle vie che conducevano ad essi, e, una volta assicurato questo controllo, stimolare lo sviluppo di centri subalpini che potessero fare da base per i transiti verso l’oltralpe.

Nel quadro delle guerre alpine di Augusto (cominciate nel 25 a.C. con l’occupazione della Valle d’Aosta e ufficialmente concluse e celebrate con l’erezione del Trofeo di La Turbie nel 7-6 a.C.), Le Alpi Cozie passarono ai Romani in seguito ad un compromesso siglato nel 13 a.C. con il capo locale Cozio, con il quale costui si sottomise a Roma e in cambio mantenne una posizione di autorità, diventando praefectus di un territorio sui due versanti alpini (evento celebrato con la costruzione dell’Arco di Susa, inaugurato nel 9-8 a.C.).

Augusta Taurinorum, centro di supporto alla via delle Gallie

A quel punto l’utilità di organizzare dei centri di supporto ai transiti verso la Gallia spiega il sorgere o il potenziamento a Torino di una colonia romana, il cui territorio arrivava fino alla zona tra Rivoli e Avigliana e da cui partiva un’importante strada in direzione valsusina, la via delle Gallie, che col suo movimento di uomini e merci favorì lo sviluppo delle terre che attraversava, compresa quella caselettese.

La colonizzazione romana delle campagne e la villa rustica di Caselette

Con la fondazione di Augusta Taurinorum le terre attorno a Torino furono divise e assegnate a famiglie di coloni che vi si erano trasferite e che vi costruirono delle fattorie per coltivare queste terre. Ciò avvenne probabilmente verso la metà dell’età di Augusto (fine I secolo a.C), quando anche in territorio di Caselette si impiantarono delle aziende agricole, una delle quali è stata messa in luce dall’archeologia. È la villa rustica dei Pian, sulle basse pendici del versante orientale del Musiné, posta su un ripiano naturale non lontano dalle vecchie cave di magnesite.

Era una fattoria, probabilmente proprietà di una famiglia di coloni di Augusta Taurinorum, in cui si praticavano agricoltura, allevamento e una modesta produzione artigianale. Costituita da una parte residenziale (l’abitazione del proprietario) e da una parte produttiva (alloggio della manodopera, impianti produttivi e magazzini), fu costruita negli ultimi anni a.C. ed ebbe tre fasi (cioè fu rifatta con modifiche diverse volte), che durarono complessivamente dalla fine del I secolo a.C. alla metà del II secolo d.C.

L’area agricola verso Dora: tombe lungo la strada

Ma la parte più occupata e dinamica del territorio di Caselette in epoca romana era quella meridionale, oggi l’area agricola tra corso Susa e la Dora. Vecchi ritrovamenti di tombe di età imperiale presso i Truc La Prà e Bineita (contenenti materiali databili a II-III secolo d.C.) segnalano il possibile passaggio nelle loro vicinanze di un tratto di strada di età romana sulla sinistra della Dora (per la consuetudine antica di collocare deposizioni funerarie lungo itinerari anche locali di qualche importanza), strada minore rispetto all’asse principale della via delle Gallie che passava sulla destra del fiume, tra Rivoli e Avigliana, ma che serviva una zona segnata da una buona presenza insediativa e da un marcato utilizzo agricolo del suolo.

Toponimi ed epigrafi: possessi fondiari di famiglie taurinensi

Quest’area era infatti sicuramente sfruttata in senso agricolo. Ne sono indizio alcuni toponimi fondiari, rintracciabili nella documentazione medievale, che rimandano a proprietari di età romana, evidentemente interessati ai terreni della zona; ad esempio, il toponimo Gabianum (in documenti dell’abbazia di Novalesa di fine ‘200 riferiti a Camerletto) ricorda una proprietà di un Gavius, membro di un gruppo familiare in vista nell’Augusta Taurinorum del I secolo d.C. Ma anche alcune iscrizioni romane trovate a Caselette fanno pensare che altre famiglie taurinensi avessero qui dei possessi fondiari: le epigrafi scoperte ai primi dell’800 presso il castello Cays citano individui appartenenti a famiglie di Augusta Taurinorum ben note per agiate condizioni e vasti interessi nell’intero territorio della colonia, quali Cornelii ed Aebutii. Sembra evidente che il territorio caselettese partecipò a interessi economici che su di esso si proiettavano dal centro taurinense.

Un abitato rurale di età romana

In questa zona sorgevano sicuramente anche delle strutture abitative: abbondanti affioramenti, in terreni a sud e a est del Truc Volpatéra, di materiale laterizio e ceramico, parte del quale rimanda a I e II secolo d.C., fanno ipotizzare un abitato rurale di età romana, possibile replica in sponda sinistra di un insediamento rurale come quello di Verné di Rosta (situato proprio dirimpetto sull’altra sponda della Dora). L’insediamento in quest’area poteva anche comprendere un’altra villa rustica o più nuclei di abitazioni rurali sparse; in ogni caso i segnali di un abitato di età romana sono qui evidenti e attenderebbero un’organica indagine archeologica, che potrebbe anche chiarire l’eventuale rapporto di questa presenza romana con un successivo villaggio di epoca medievale documentato nella stessa zona.

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