Tra Francesi e Austriaci: una stentata sopravvivenza

Quelli a cavallo tra Sette e Ottocento furono per la comunità caselettese anni di crescenti difficoltà: prima la guerra tra austro-piemontesi e francesi (1792-96) si ripercosse sul paese con imposte, requisizioni e arruolamenti, nel quadro di un periodo di carestia, che misero in crisi l’amministrazione e ridussero molte famiglie a una stentata sopravvivenza e non di rado alla fame; poi il passaggio sotto controllo francese con l’instaurarsi di una Municipalità repubblicana (1798) cambiò la facciata ma non risollevò la precaria situazione, e la successiva temporanea cacciata dei francesi con conseguente occupazione militare austriaca (1799-1800) fece ricadere anche su Caselette il fardello di durissime imposizioni.

L’amministrazione napoleonica

Fu un momento terribile per il paese, oppresso da requisizioni e dall’acquartieramento di soldati austro-russi, prostrato dalla carestia e su cui anche il maltempo si accanì con tre rovinose grandinate in un anno. La popolazione era allo stremo, e ci vollero anni, lungo il quindicennio napoleonico (1800-14), prima che vedesse meno precaria la sua sopravvivenza, mentre l’amministrazione comunale procedeva rigorosamente inquadrata nelle strutture centralistiche del sistema napoleonico, con il maire e i consiglieri nominati dal Prefetto e i decreti prefettizi a ritmare la gestione pubblica. Il tutto, se lasciava intravedere ai caselettesi qualche squarcio di un diverso scenario politico-istituzionale, non portò rotture sul piano socio-economico: non ci furono cambiamenti nella composizione sociale della comunità né la vita economica recepì impulsi per qualche nuovo sviluppo.

La restaurazione sabauda e le nuove regole amministrative

Il cambiamento politico, dal regime napoleonico alla restaurazione sabauda modificò le regole delle cariche amministrative (un sindaco nominato per due anni dall’Intendenza provinciale su una rosa di candidati proposta dal Consiglio comunale formato da tre membri ordinari), ma non cambiò il rapporto tra struttura socio-economica e controllo/gestione della vita civica da parte di un gruppo abbastanza omogeneo di piccoli possidenti: il giro dei più inseriti nell’amministrazione comunale era coinvolto anche nella gestione di istituzioni che facevano capo alla parrocchia (es. la Congregazione di Carità) o in uno spazio di aggregazione socio-religiosa come il santuario di S. Abaco.

Sant’Abaco: nasce il sistema attuale del Priorato

In questo i primi tre decenni dell’Ottocento videro i lunghi rettorati di Giovanni Losa e Antonio Conti (che fece realizzare un ampliamento del santuario nel 1817-18), che furono l’ultima fase del vecchio sistema priorale di incarico a tempo indeterminato: a partire dal 1835 si avviò il meccanismo di successione di priori ogni anno diversi che costituì la base del sistema che con qualche modifica vige ancora oggi, e il binomio parrocchialità/autonomia si bilanciò tra selezione dei priori lasciata alla libera cooptazione da parte del priore uscente e controllo delle finanze del santuario esercitato dal parroco con la collaborazione del tesoriere delle compagnie parrocchiali.

Un po’ di movimento nella vita del paese

Per gli anni Venti e Trenta dell’Ottocento è avvertibile un certo qual movimento nella vita del paese, a cominciare da un significativo incremento demografico: il totale degli abitanti crebbe in meno di 30 anni da 500 a 700 (includendo nel numero anche i residenti delle frazioni di Camerletto, Grangiotto e Grangetta che appartenevano alla parrocchia ma non ancora alla comunità civica di Caselette) grazie soprattutto a un diminuito tasso di mortalità e a un flusso migratorio in entrata; la crescita poi rallentò e la popolazione si assestò su una cifra di poco inferiore ai 700 abitanti.

Pur tra ristrettezze di bilancio, l’amministrazione fu in grado in quegli anni di accollarsi le spese di qualche intervento impegnativo, di cui il più rilevante fu la costruzione del nuovo cimitero (1836), che poneva finalmente riparo alla situazione di disordine in cui versava da molto tempo il vecchio cimitero presso la chiesa.

Una più accentuata apertura della spesa pubblica e un certo attivismo di iniziative (riflesso locale del dinamismo nella vita pubblica e del risveglio economico tipici della società piemontese del primo decennio di regno di Carlo Alberto) fecero degli anni Trenta dell’Ottocento l’inizio di una fase di crescita della vita civile caselettese, e va ascritto a merito del sindaco Paolo Savarino, la figura dominante nella scena amministrativa di quegli anni, e dei consiglieri del suo periodo l’aver saputo indirizzare un’accresciuta disponibilità di risorse verso realizzazioni utili a dare il via a un primo timido ammodernamento del paese; cosa a cui concorse anche l’intervento dei nuovi signori del luogo.

I conti Cays a Caselette e l’attività di Carlo Cays

Col passaggio a fine Settecento del feudo dai Cauda ai Cays di Gilette (ma l’effettivo possesso poté essere esercitato da questi solo dopo l’età napoleonica) si aprì una nuova fase nella storia del castello Cays, che vide i suoi titolari anche inseriti in ruoli amministrativi comunali, prima con un biennio da sindaco (1825-26) del conte Luigi Cays e poi soprattutto (a partire dal 1839) con ripetuti incarichi e un’attiva presenza nella vita della comunità da parte del figlio Carlo Cays (1813-1882). Nei suoi due trienni da sindaco (1839-42 e 1845-48) quest’ultimo promosse una vera e propria politica di opere pubbliche, che mirava esplicitamente a porre le risorse comunali al servizio di uno sviluppo del paese che da una parte aprisse ai proprietari la possibilità di uno smercio all’esterno di parte della produzione agricola e dall’altra offrisse ai più poveri una prospettiva occupazionale; gli interventi principali riguardarono la viabilità: sistemazione e allargamento delle strade comunali di collegamento con Almese e Val della Torre e tentativo problematico (e questione a lungo irrisolta) di migliorare la strada per Alpignano, vero nodo cruciale della viabilità caselettese nel momento in cui si cercava di aprire il paese ad un nuovo sviluppo economico. Non mancarono poi interventi e progetti sulla chiesa parrocchiale (che aveva già visto nel 1810 un ampliamento in lunghezza), frutto anche di una cordiale intesa tra il conte e il parroco di quegli anni don Matteo Tivano (arrivato a Caselette nel 1840).

Bibliografia

D. VOTA, La comunità civica nell’Ottocento, in Caselette. Uomini e ambienti ai piedi del Musiné dalle origini all’Ottocento, Borgone 1999, pp. 305-397, in part. pp. 307-357.

D. VOTA, Il santuario di S. Abaco e la comunità di Caselette tra Sette e Ottocento, in Mario, Marta, Audiface e Abaco martiri venerati nel santuario di Caselette, Alpignano 1993, pp. 157-203, in part. pp. 179-185.