L’area del castello in epoca romana: epigrafi

Poco prima del 1820, durante uno scavo per una costruzione affiancata al castello, furono scoperte tre lapidi funerarie in pietra, risalenti al I-II secolo d.C. (attualmente al Museo di Antichità di Torino), le cui iscrizioni sono le uniche testimonianza epigrafiche di epoca romana in Caselette.

Le lapidi dovevano segnalare le tombe di due uomini (un’iscrizione è solo iniziata su una stele e poi scolpita interamente su un’altra), una delle quali fu fatta fare dalla vedova di uno di loro. Vi sono nominati un Sextus Cornelius, un Publius Acilius Mancia e una Aebutia Vina, vedova del secondo: persone appartenenti a famiglie note da altre iscrizioni di Torino e dintorni fin dai primi tempi della romanizzazione di queste zone (che cominciò a fine I secolo a.C.). Soprattutto Cornelius ed Aebutia si collegano a gruppi familiari della colonia di Augusta Taurinorum, titolari di numerose proprietà terriere e presenti anche nelle cariche della comunità civica taurinense. E’ quindi probabile che qualche esponente di quelle famiglie possedesse delle terre anche in Caselette.

Gli individui sepolti nell’area del castello potevano essere liberti di questi gruppi familiari o persone di origine locale che erano state attratte nella loro orbita da rapporti di clientela e ne avevano preso il nome come segno di un’integrazione nella nuova realtà.

L’iscrizione più antica (quella di Sextus Cornelius) risale al I secolo d.C. e conferma, già agli inizi della romanizzazione, l’interesse da parte di famiglie di Augusta Taurinorum per una presenza in zona ai piedi del Musiné, che l’archeologia segnala fin da età augusteo-tiberiana (fine I secolo a.C. – inizio I secolo d.C.) con i resti della villa rustica dell’area dei Pian.

L’età medievale

Fino al 1300 non si può dire nulla di sicuro circa l’esistenza di un edificio sull’altura morenica su cui sorge l’attuale castello: le fonti documentarie non danno notizie e l’archeologia può fare poco su un sito che ha subito nei secoli molti rimaneggiamenti probabilmente distruttivi di preesistenze.

Se intorno al 1000 nell’attuale centro storico (detto allora Comilitate) si stava aggregando attorno alla cappella di S. Giorgio un modesto abitato (Casellulae = casupole), è possibile che sull’altura dominante sorgesse una casa fortificata, residenza dei de Caselette, ricchi proprietari di terre bene inseriti nella cerchia dei marchesi di Torino, che più tardi (dopo il 1100) controllarono per conto dei conti di Moriana-Savoia la via tra Val di Susa e Canavese.

Nel corso del Duecento il patrimonio di questi signori fu probabilmente incamerato dai conti di Savoia e gestito nell’ambito della castellania di Avigliana, mentre gli uomini di Caselette (ormai nucleo abitativo principale, con il progressivo abbandono del vecchio insediamento di Caselle in località Villare a sud di Camerletto) cominciavano ad organizzarsi in comunità.

Del 1303-1304 è la prima notizia sicura dell’esistenza di un edificio fortificato sull’altura del castello: il conte di Savoia fece eseguire dei lavori a scopo di difesa (e di affermazione della sua capacità di dominio in zona) su un piccolo fortilizio, che venne ampliato qualche anno dopo: una torre, una parte abitativa con sala e loggiato e qualche altro ambiente, una parte rustica con magazzino e cantina. Il castello era affidato a funzionari del conte col compito di amministrare le terre dipendenti e controllare, mediante riscossione di pedaggio, i passaggi di merci e animali lungo la via tra Val di Susa e Canavese.

I signori del castello dal Trecento al Settecento

Il possesso del castello, il dominio signorile sul villaggio e sulle terre vicine, il controllo del pedaggio e l’esercizio della giustizia ordinaria sostanziarono il potere di signori che si succedettero per secoli come feudatari dei conti di Savoia, del cui potere seguirono le vicende fino a fine Settecento.

Nel tardo Medioevo, dopo un rapido alternarsi di vari proprietari nel corso del ‘300, i Canali di Cumiana cercarono invece, a partire dal 1349, di affermarvi tra ‘300 e ‘500 una dominazione stabile e prolungata nel loro progetto di radicamento di un potere tra Val di Susa e Canavese, con interventi e coinvolgimento anche nella vita sociale del villaggio (ad esempio nel 1439 si associarono alla comunità nella costruzione della Bealera del prati).

Dopo un breve possesso, a inizio ‘600, del conte Valperga e la parentesi della signoria di Don Emanuel di Savoia (figlio naturale di Carlo Emanuele I), il feudo caselettese con il castello passò nel 1640 ai Cauda, famiglia di origine biellese di recente nobiltà ma ben inserita ai vertici della burocrazia del ducato sabaudo. Essi considerarono Caselette un sorta di appannaggio-rendita, luogo di caccia e villeggiatura, mostrandosi fino a fine ‘600 assai aggressivi verso i beni dei monaci di Camerletto e soprattutto verso quelli della comunità: specialmente il primo dei Cauda, il conte Giovanni Francesco che si faceva chiamare il Presidente di Caselette, unì con prepotenza il dinamismo borghese delle origini all’alterigia feudale, tenendo spesso un comportamento altezzoso e violento. Solo nel secolo successivo il paese vide ridursi questo esercizio pesante del potere.

E’ di quell’epoca la Cappella Gentilizia nell’ala ovest del castello (rimaneggiata però nell’Ottocento): piccola ma artisticamente elegante, con numerose decorazioni a stucco, sull’altare una tela (datata 1760 a firma Genovefa Penna, restaurata nel 1979) raffigurante Nostra Signora delle Grazie, S. Luigi Gonzaga e S. Liborio. Alcuni medaglioni lungo le pareti (ottocenteschi) raffigurano temi legati alla devozione mariana. La parete destra in alto è provvista di un matroneo. La volta è una piccola cupola che riprende in forma semplificata il motivo della cappella della Sindone a Torino. In questa cappella hanno celebrato le grandi figure della Congregazione salesiana, da don Bosco a don Rua al conte Cays.

L’epoca dei conti Cays

Estintasi a fine ‘700 la linea maschile dei Cauda, il castello passò in eredità ai conti Cays, nobile famiglia di Nizza con beni in Provenza e a Torino in parte perduti con l’Età Napoleonica. Con la Restaurazione (1814) Luigi Francesco Cays recuperò palazzi a Torino, una proprietà a Gilette nel Nizzardo e il castello di Caselette.

Pur fermandosi qui solo per la villeggiatura estiva di ogni anno, i conti Cays accettarono di inserirsi anche in ruoli amministrativi comunali, prima con un biennio da sindaco (1825-26) del conte Luigi e poi soprattutto (a partire dal 1839) con ripetuti incarichi e un’attiva presenza nella vita della comunità da parte del figlio Carlo (1813-1882), attivo promotore di opere pubbliche e di varie iniziative per lo sviluppo del paese. Negli anni dopo la metà del secolo il castello ospitò la famiglia reale in occasione dell’epidemia di colera del 1854 (lo ricorda una lapide presso un’entrata laterale) e accolse in più occasioni Don Bosco, dalla cui lunga amicizia e collaborazione il conte Carlo trasse stimolo in tarda età a farsi sacerdote e diventare salesiano (1878).

E’ dell’epoca del conte Carlo la bella coreografia naturale del parco e del giardino. Essa si deve al progetto di uno dei maggiori architetti di parchi dell’Ottocento, il tedesco Xavier Kürten (1769-1840), giunto a Torino al seguito delle truppe napoleoniche e passato poi durante la Restaurazione al servizio di Carlo Alberto di Savoia. Il progetto, elaborato nel 1837, organizzò nella parte a sud del castello un “jardin à fleurs” con aiuole e vialetti di fiori e piante di ampia gamma di varietà, e nel resto della proprietà un parco per lo più a bosco percorso da sentieri che offrivano una distensiva passeggiata.

Nella zona sud-ovest del parco l’ombreggiata cappella di S. Liborio era luogo raccolto di meditazione, oggetto di un recente intervento pittorico di un’artista caselettese.

Il figlio Luigi Casimiro (1839-1910) visse al castello dopo il matrimonio (1863) e l’ultimo dei Cays, Carlo Vittorio (1865-1926), vi abitò fino alle nozze (1890) prima di stabilirsi a Bologna e recarsi a Caselette solo più per qualche settimana all’anno. Giulia Celesia Cays, di ricca famiglia genovese, vedova di Carlo Vittorio, riportò benessere ai Cays dopo una scriteriata amministrazione precedente. In più occasioni offrì il castello di Caselette alla Congregazione salesiana, finché nel 1943 la donazione fu accolta.

Tra le testimonianze dell’epoca dei Cays, la grande Cappella al primo piano era un tempo il salone di ricevimento dei conti: lo splendido soffitto a stucchi con motivi ornamentali a fiorami e l’elegante balconata in ferro battuto segnalavano il gusto artistico che caratterizzava l’ambiente; al centro della volta e nella lunetta sulla porta d’entrata campeggiava lo stemma di famiglia col leone rampante e il motto Fortior in adversis (lo stesso si ripete in diversi punti dell’edificio). Al secondo piano la Sala degli Scudi presentava decorazioni ottocentesche sulla volta che sostituì un precedente soffitto a cassettoni; dal fondo si accedeva a un luminoso e panoramico Belvedere con finestre ad archi acuti tipiche del gusto neo-gotico ottocentesco. A ricordo delle visite di Don Bosco, una camera in cui soggiornò conservava paramenti e oggetti del santo. Altre testimonianze erano raccolte in una bacheca al primo piano.

Tutto ciò era visitabile e apprezzabile fino al momento della chiusura del castello.

Il volto esterno dell’edificio (valorizzato fino a qualche anno fa dall’illuminazione notturna, oggi con sempre più evidenti segni di degrado) è il risultato ottocentesco di numerose trasformazioni e aggiunte realizzate attraverso i secoli; spicca su tutto la graziosa torre cilindrica.

Il castello casa salesiana

Nel 1943 la contessa Giulia Celesia Cays ripropose generosamente al Rettor Maggiore salesiano don Ricaldone la donazione, già offerta anni prima, del castello di Caselette, che questa volta la Congregazione di Don Bosco accolse con gratitudine. Pensato dapprima come sede di una scuola agraria, il castello divenne invece, per l’incalzare degli eventi di guerra, luogo di accoglienza per orfani e di sfollamento per confratelli salesiani di Torino.

Nell’aprile 1943 don Luigi Terrone e Marino Bertaggia furono i primi salesiani ad occupare il castello per la Congregazione di Don Bosco. Tra 1944 e 1958 vi fu ospitato un gruppo di orfani di guerra. Della ricca biblioteca dei Cays (circa 7500 volumi) i Salesiani recuperarono la metà (il resto era stato venduto in precedenza dai conti per necessità economiche).

Nel 1966 si avviarono lavori di trasformazione interna, che predisposero il castello a casa di spiritualità e accoglienza di ospiti (gruppi di Famiglia Salesiana, gruppi parrocchiali, scolaresche, gruppi giovanili, associazioni, movimenti) per ritiri, convegni, esercizi spirituali. Oltre al castello vero e proprio, il Centro mise a disposizione la “Foresteria” e il “Laura Vicuna” con posti autogestiti per gruppi giovanili.

La chiusura del castello

Per anni la Comunità salesiana collaborò variamente con la parrocchia e con il paese, aprendo il castello a un fecondo interscambio con i caselettesi. Un ridimensionamento della presenza salesiana a Caselette poco dopo il 2000 non interruppe quel rapporto, che il Gruppo Amici del Castello e il Gruppo dei Cooperatori cercarono di mantenere vivo nella speranza di un rilancio del castello come centro di cultura e spiritualità. Purtroppo però la decisione dell’autorità centrale salesiana di vendere il castello ha portato alla fine della presenza della comunità salesiana a Caselette e alla chiusura totale del castello (a fine 2007).

Nonostante una serie di azioni tentate da vari caselettesi per indurre la dirigenza salesiana a ritornare sulle sue decisioni, ricordando l’antico legame dei caselettesi con il castello e il dovere morale di non lasciar morire un tale patrimonio di storia, cultura e spiritualità (oltretutto sulla scelta di chiudere e alienare il castello i superiori salesiani non hanno mai cercato né aperto un dialogo con la comunità caselettese), la chiusura del castello è stata definitiva.

Da allora il castello è desolatamente vuoto, l’edificio in abbandono mostra segni sempre più evidenti di degrado, il parco si inselvatichisce progressivamente. La comunità dei caselettesi guarda con tristezza a questo colpevole abbandono.

Bibliografia

Sulle epigrafi di epoca romana:

E. FERRERO, Iscrizioni romane di Caselette, in «Atti della Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino» V, 6 (1894), pp. 322-323

D. VOTA, Caselette antica tra preistoria ed età romana, in Caselette. Uomini e ambienti ai piedi del Musiné dalle origini all’Ottocento, Borgone 1999, pp. 33-74, in part. pp. 69-72.

D. VOTA, 2000 anni fa in Valle di Susa. Il tempo dei Cozii, Borgone 2010, pp. 190-198 e 241-244.

Sul castello tra medioevo ed età moderna:

E. E L. PATRIA, Castelli e fortezze della Valle di Susa, Torino 1983, p. 34.

L. PATRIA, “Homines Caselletarum”. Uomini di Caselette. Origine e affermazione di una comunità, in Caselette. Uomini e ambienti ai piedi del Musiné dalle origini all’Ottocento, Borgone 1999, pp. 75-227, in part. pp. 144 ss.

Per l’epoca dei conti Cays:

L. TERRONE, Il Conte Cays, sacerdote salesiano, Colle don Bosco 1947.

D. VOTA, La comunità civica nell’Ottocento, in Caselette. Uomini e ambienti ai piedi del Musiné dalle origini all’Ottocento, Borgone 1999, pp. 305-397, in part. pp. 340 ss.

Sul castello come centro salesiano:

G. DALLA NORA, Il castello Cays di Caselette, Torino 1979.

A. VIGANÒ, Il castello di Caselette centro di spiritualità, Caselette 1993.